Alberto Gilardino e Genoa, mistero senza innocenti
Mancava nella travagliatssima e tumultuosa storia del club più antico d'Italia un capitolo così grottesco, al limite del surreale. Cacciare un allenatore a cinque giorni da un delicatissimo scontro salvezza dopo aver lasciato passare la settimana di sosta senza sommovimenti è stato un capolavoro di autolesionismo. Probabilmente ci verrà spiegato che la trattativa col nuovo allenatore non è stata così semplice e si è prolungata oltre le previsioni, ma a questo punto, se proprio si era deciso di cacciare Gilardino, non si poteva attendere ancora un match? O forse si temeva che un esito favorevole potesse sconsigliare, anche per ragioni di immagine, il cambio della guardia?
Il clamoroso epilogo, d'altronde, è stato preceduto da un lungo periodo di serpeggianti incomprensioni e di laceranti divisioni intestine. Non è da ieri che in seno alla società si sono formati due partiti: da una parte Spors e Ottolini (appoggiati dalla proprietà), dall'altra Gila e il presidente Zangrillo, alfiere del conservatorismo e acceso avversatore della politica di smobiltazione condotta negli ultimi giorni di mercato.
Gilardino, ad essere sinceri, non aveva approvato neppure certe mosse legate alla compravendita del 2023: figuriamoci le operazioni dell'estate successiva, che hanno rotto, come un orologio caduto sull'asfalto dal decimo piano, l'impianto di squadra preesistente.
Gila – al pari di un popolo che aveva appena stabilito il record genovese degli abbonamenti – si era sentito tradito, preso in giro, e forse ha sbagliato a non dimettersi, mettendo a nudo le inconguenze dei dirigenti. Il suo malumore era crescente, ma non è mai approdato a manifestazioni di aperto dissenso. Intanto, l'infermeria si stava riempiendo e ad oggi non si è mai suddivisa la torta delle responsabilità: del preparatore atletico, dello stesso tecnico, della sola malasorte? Era difficile, con quel po' po' di defezioni, battere altre strade, ma che il mister ci abbia messo del suo è innegabile. La vittoria di Parma è stata accolta come l'auspicata svolta, ma la successiva gara, l'ultima dell'era Gilardino, ha riproposto le antiche problematiche. Vero che un punticino è arrivato ugualmente e che il Genoa ha ribadito il suo spirito indomito, ma se prima del pari di Vogliacco il Como avesse segnato solo un terzo delle palle gol concessegli, avremmo parlato di Waterloo.
Non è dato sapersi quanto abbia inciso, nel divorzio, la questione meramente tecnica e quanto i rapporti intestini, ormai scesi a livelli insostenibili, ma quando una squadra, dopo tre mesi di campionato, non vince una volta in casa e, soprattutto, è usa racchiudersi davanti al proprio portiere aspettando che l'avversario, anche il più scarso, assuma l'iniziativa per poter azionare il contropiede, qualche domanda è lecito porsela. E' tutto dipeso dai limiti oggettivi dell'organico (depauperato, vale ribadirlo, da innumerevoli guai fisici dopo la svendita settembrina) e in particolare del centrocampo (compresi ovviamente i due esterni e le riserve) o anche dall'incapacità del trainer di lasciare un'impronta nella manovra?
A favore di Gilardino hanno giocato la promozione al primo colpo e lo squillante undicesimo posto nella prima stagione di A, ma anche il consenso pressoché unanime di tifoseria e stampa nei suoi confronti. La fase difensiva è stata e rimane un esempio di efficacia. Ma forse era anche giusto chiedersi se il (non) gioco espresso costantemente - a parte la parentesi di Parma, agevolata dall'abulìa degli antagonisti - sarebbe stato sufficiente per mantenere la rotta della salvezza.
Le valutazioni di cui sopra potrebbero tuttavia aver inciso in percentuale ridotta sul licenziamento del piemontese. Di sicuro lui aveva sentito puzza di bruciato specialmente sul tema caldissimo del mercato di gennaio, che invece degli agognati rinforzi potrebbe privare la già debole rosa genoana di qualche altro petalo luminoso: strategia da lui legittimamente e perentoriamente avversata.
Di sicuro non esiste una ragione economica, visto che l'ingaggio di Patrick Vieira, pur con uno sconto sensibile, è un onere ulteriore in un bilancio già dissestato.
C'è poi la tesi di un'imminente cessione del capitale azionario rossoblù, evento che cozza con le ricorrenti voci di un allarmante stallo, dovuto anche ai processi che coinvolgono, di qua e di là dell'oceano, i teorici proprietari.
In attesa che chi di dovere illumini uno scenario così assurdo, Vieira dovrà combattere contro il tempo per provare ad inculcare il proprio credo in una manciata di ore prima di un esame ufficiale da brividi. I suoi precedenti come mister sono accettabili ma non eccellenti, anche se la profonda conoscenza del nostro calcio, maturata come calciatore nelle file dei tre club più prestigiosi, basta e avanza ad affrancarlo da problemi di inesperienza. Il francese ha carisma e personalità e certamente proverà a saggiare nuovi sentieri tattici, meno intrisi di ifensivismo e più aperti alla propositività.
Quanto alle sue antiche frizioni con Balotelli, non è proprio il caso di elevarle a problemone esistenziale. Mario non è proprio nelle condizioni e neppure nella convenienza di fare le bizze o di alzare la voce nei confronti dell'allenatore, il quale – dal canto suo – è pregato di trattare l'ex azzurro senza preclusioni. Sempre che nel nuovo corso della società l'attaccante – fortissimamente voluto da Gilardino – incontri ancora un briciolo di considerazione.
PIERLUIGI GAMBINO
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